Ricorso della Regione Campania, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore,on. Antonio Bassolino, rappresentato e difeso, giusta mandato a margine ed in virtu' della delineazione della giunta regionale n. 1775 del 24 settembre 2004 dal prof. avv. Vincenzo Cocozza e dall'avv. Vincenzo Baroni dell'Avvocatura regionale, insieme con i quali elettivamente domicilia in Roma, presso l'Ufficio di rappresentanza della Regione Campania alla via Poli n. 29; Contro: il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore; per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 30 luglio 2004, n. 191, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, serie generale n. 178 del 31 luglio 2004 (suppl. ord. 136), nella parte in cui converte con modifiche l'art. 1, commi 5 - 9 - 10 - 11, e 1'art. 3, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, e quindi da11'art. 1, commi 5 - 9 - 10 - 11, e dell'art. 3, comma 1, del decreto-legge medesimo, convertito e come modificato; nonche' dell'art. 3, commi 16 - 17 - 18 - 19 - 20 - 21 della legge 24 dicembre 2003, n 350 come modificati e integrati dall'art. 3, comma 1, del d.l. 12 luglio 2004, n. 168 come modificato e convertito dalla legge 30 luglio 2004, n. 191. F a t t o 1. - Con il d.l. 12 luglio 2004, n. 168 («Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica), il Governo centrale e' intervenuto a porre in essere norme che si mostrano in piu' punti lesive della autonomia regionale costituzionalmente garantita, incidendo anche sulla sfera di autonomia degli enti locali. Avverso l'art. 1, commi 5 - 9 - 10 - 11, e l'art. 3, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, la Regione Campania ha promosso ricorso in via principale deducendo la lesione della propria sfera di autonomia. In data 30 luglio 2004 e' stata approvata la legge di conversione n. 191 del citato decreto-legge, con cui sono state apportate limitate modifiche a singole disposizioni, ma sostanzialmente e' stato confermato l'impianto complessivo dell'intervento legislativo e il contenuto normativa della disciplina. Avendo riguardo al testo legislativo integrato dalle modifiche apportate dalla legge di conversione, si evidenzia che lo stesso risulta confermativo dell'intervento normativo introdotto dal decreto-legge sia nei principi ispiratori, sia, sostanzialmente, anche nel dato testuale. 2. - Si tratta, in particolare, dell'art. 1, commi 5 - 9 - 10 e 11, nonche' dell'art. 3, comma 1. a) Il comma 5 dell'art. 1 introduce l'art. 198-bis al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 sull'ordinamento degli enti locali, prevedendo che «nell'ambito dei sistemi di controllo di gestione di cui agli articoli 196, 197 e 198, la struttura operativa alla quale e' assegnata la funzione del controllo di gestione fornisce la conclusione del predetto controllo, oltre che agli amministratori ed ai responsabili dei servizi ai sensi di quanto previsto dall'art. 198, anche alla Corte dei conti». In tal modo viene a determinarsi una attrazione della gestione locale nell'ambito della sfera del controllo affidato alla Corte dei conti, costituzionalmente non consentita. Peraltro, si determina una illegittima commissione tra il controllo di gestione e le valutazioni affidate alla Corte dei conti che puo' alterare l'efficacia e le finalita' dello stesso controllo. Non diversamente il quinto periodo del comma 9, che il comma 11 rende applicabile alle regioni e agli enti locali, impone di comunicare in via preventiva alla Corte dei conti le direttive adottate dalle amministrazioni per conformarsi alla regolamentazione dello stesso comma «nell'esercizio dei diritti dell'azionista nei confronti delle societa' di capitali a totale partecipazione pubblica». Il comma 11, come modificato dalla legge di conversione, impone alle regioni e agli enti locali una spesa, generale annua nel 2004 «non superiore alla spesa annua mediamente sostenuta negli anni dal 2001 al 2003, ridotta del 10 per cento». Prosegue, poi, individuando le spese da ridurre, prevedendo espressamente che tali riduzioni devono obbligatoriamente applicarsi «alla spesa per missioni all'estero e per il funzionamento di uffici all'estero, nonche' alle spese di rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni ed alla spesa per studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all'amministrazione, inclusi quelli ad alto contenuto di professionalita' conferiti ai sensi del comma 6 dell'art. 110 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267». Precisando poi, nel periodo aggiunto dalla legge di conversione, che per le spese impegnate la riduzione del 10% non si applica, ma solo «per le regioni e gli enti locali che hanno rispettato, nell'anno 2003 e sino al 30 giugno 2004, gli obiettivi previsti relativamente al patto di stabilita' interno ...». La disciplina, attraverso un parziale rinvio ai commi 9 e 10, detta regole particolari volte a restringere ulteriormente le ipotesi del ricorso alle specifiche spese indicate. In buona sostanza, e' lo stesso decreto statale, nel disporre significative riduzioni delle spese regionali e locali ammissibili, ad individuare le voci di spesa oggetto di detta riduzione, relativamente anche alle spese gia' impegnate se non ricadenti nella limitata ipotesi derogaroria. c) Il comma 1 dell'art. 3 integra l'art. 3 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, non modificato dalla legge di conversione, e' stato gia' in parte impugnato dalla regione campania per violazione dell' art. 119 cost. e di quanto dalla norma costituzionale discende quale doverosa modalita' attuativa che codesta ecc.ma corte ha gia' puntualmente indicato. Sotto tale aspetto, e' opportuno ricordare alcuni profili della, questione, rilevanti per cogliere l'illegittimita' anche della successiva modifica, che in questa sede si impugna. L'art. 3 della legge n. 350/2003 (Legge finanziaria 2004), nei commi 16 - 17 - 18 - 19 - 20 - 21, con riferimento al 6 comma dell'art. 119 della Costituzione, ha proceduto ad identificare - per di piu' senza alcuna intesa o cooperazione con regioni sia le spese costituenti «investimenti», sia l'«indebitamento» che in relazione alle prime e' consentito. In particolare, per cio' che qui specificamente interessa, il comma 18 ha proceduto ad una (unilaterale), elencazione delle ipotesi di investimento «ai fini» di cui all'art. 119, sesto comma, per le quali e' consentita l'assunzione di debiti. Avverso tale normativa, come detto, e' gia' stata sollevata questione di legittimita' costituzionale sia per i contenuti, che per le modalita' con le quali essa e' stata posta in essere. La questione, tenendo conto di quanto prospettato con il precedente ricorso, va riproposta sia sotto il profilo del vizio sostanziale perche' il decreto legge, pur derogando parzialmente al limiti posti dal comma 18 della norma modificata, in definitiva conferma l'impostazione limitativa del testo originario; sia sotto il profilo del vizio procedurale, laddove si interviene, anche questa volta, in assenza di qualsiasi apporto regionale e confermando la visione «unilaterale» delle modalita' di individuazione delle ipotesi ammissibili di investimento. Le disposizioni impugnate confermano i vizi di legittimita' emersi in sede di impugnativa del decreto-legge e inducono, pertanto, alla proposizione del presente ricorso per i seguenti M o t i v i La normativa legislativa impugnata, come detto, viola la Costituzione con diverse disposizioni normative che impongono di sollevare le seguenti questioni di costituzionalita', soprattutto, per l'illegittima riduzione delle spese ammissibili attraverso la specifica individuazione delle voci di spesa da ridurre; per la non consentita incidenza sul sistema dei controlli attraverso la previsione di un ruolo della Corte dei conti nei confronti del sistema delle autonomie territoriali che, per di piu', altera il controllo di gestione; per l'inammissibile fissazione di limiti dell'indebitamento delle regioni in violazione del sesto comma dell'art. 119. Si deduce, pertanto: 1. - Violazione degli artt. 114, 117 (in part. terzo comma e quarto comma) e 118 Cost. violazione e falsa applicazione dell'art. 119 Cost. lesione della sfera di autonomia delle regioni violazione del principio di leale cooperazione. Violazione art. 3 Cost. Irragionevolezza. Come ricordato in fatto, il combinato disposto dei commi 9 - 10 e 11 dell'art. 1 d.l. 168/2004, convertito con la legge oggi impugnata, non limitandosi ad individuare criteri direttivi o limiti massimi di spesa, specifica ed elenca le spese che gli enti territoriali devono contenere nell'ambito di previste percentuali. L'illegittimita' si manifesta, per questa parte, almeno sotto un duplice profilo: a) si limita la sfera di autonomia finanziaria di bilancio e di spesa; b) si incide, attraverso tale limitazione, sulle scelte di organizzazione dell'ente. 1.a. - Come e' noto, il novellato art. 119 Cost. espressamente sancisce che «comuni, le province, le citta' metropolitane e le regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa». In coerenza con tale essenziale connotazione dell'autonomia, spetta allo Stato esclusivamente una competenza (concorrente, e dunque limitata alla fissazione dei principi fondamentali della materia) in tema di «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario». Ne discende che appare in irrimediabile contrasto con tale aspetto essenziale dell'autonomia politica - l'autonomia contabile e di spesa, tra l'altro espressamente garantita a livello costituzionale - la contestata ingerenza statale sulla formazione del bilancio regionale e sulle scelte di spesa delle regioni e degli enti locali. La qui dedotta violazione dell'art. 119 Cost. e del terzo comma dell'art. 117 si mostra evidente perche' si puo' ritenere ammissibile che lo Stato ponga in essere interventi finalizzati ad una regolamentazione e razionalizzazione del settore finanziario e, probabilmente, fra tali interventi possono essere compresi quelli volti ad individure un tetto massimo generale consentito al fine di conseguire un contenimento della spesa ed attuare gli impegni in tal senso assunti in sede comunitaria. Ma non certo si puo' sostenere, a meno di vanificare, svuotandola di contenuti, l'autonomia finanziaria costituzionalmente garantita, che lo Stato possa individuare anche le puntuali modalita' di contenimento della spesa e, ancor di piu', incidere sulle specifiche voci. D'altra parte, se, come risulta all'epigrafe del decreto impugnato, il fine e' quello di limitare la spesa pubblica in attuazione degli obblighi comunitari, l'individuazione della singola voce di spesa (piuttosto che la semplice fissazione delle percentuali generali di risparmio) non si mostra necessaria e, dunque, coerente con il fine dichiarato. L'illegittimita' e', poi, e per le stesse ragioni, anche nella parte in cui si pretende di estendere tale obbligo in quanto azionista delle societa' di capitali a totale partecipazione pubblica. 1.a. - Quanto sopra ha ulteriori ricadute laddove, attraverso limitazioni di carattere finanziario, si finisce per incidere anche sul modo di esplicarsi della complessiva competenza relativa alle scelte in tema di organizzazione amministrativa e sui conseguente funzionamento dell'ente, sottraendo a quest'ultimo valutazioni di sua esclusiva spettanza, in. quanto affidate alla responsabilita' politica, gestionale ed economica dell'ente medesimo in relazione ai fini da conseguire e ai modi per realizzarli. Si consideri, poi, con particolare riferimento alla posizione della regione, che cio' rifluisce in contrasto con il III e IV comma dell'art. 117 Cost., perche' non si mostra dubitabile che la lesione della sfera di autonomia si verifica non solo attraverso interventi diretti di disciplina del settore di competenza, ma anche.(e, per certi versi, soprattutto da un punto di vista piu' concreto e sostanziale) attraverso la sottrazione o limitazione di risorse finanziarie che costituiscono - al di la' di generiche affermazioni di principio - gli strumenti essenziali per l'esercizio effettivo della specifica protesta' costituzionalmente garantita. Tali illegittimita' si configurano anche in termini di violazione del principio di leale cooperazione. Sarebbe stato quanto meno necessario., infatti, che lo Stato, sotto il profilo procedurale, avesse effettuato le scelte attraverso una intesa con le regioni, affinche' queste contribuissero a far emergere, in base alle differenti esigenze e problematiche locali, tutto quanto utile e necessario per operare il contenimento della spesa. Esigenze e problematiche che, come e' intuitivo, non si mostrano omogenee sull'intero territorio nazionale. 2. - Violazione degli artt. 114, 117 (in part. terzo e quarto comma) e 118 Cost. Violazione dell'art. 9 della legge Cost. 3/2001. Lesione della sfera di autonomia delle regioni. Violazione del principio di leale cooperazione. Violazione dell'art. 100 Cost. Violazione dell'art. 3 cost. Irragionevolezza. Il comma 5, dell'art. 1, nonche' i commi 9 - 10 - 11, del decreto convertito, introducono una disciplina attinente al sistema di controllo degli atti della regione e degli enti locali al di fuori delle attribuzioni che la Costituzione riconosce allo Stato in materia. Come e' noto, infatti, per quanto riguarda l'organizzazione di comuni, province e citta' metropolitane, la competenza statale e' riferita alla legislazione elettorale, agli organi di governo e alle funzioni fondamentali degli enti locali. Il sistema dei controlli e' estraneo a tale sfera di competenza statale ed e' riservato alla potesta' legislativa, regionale ed a quella regolamentare degli enti locali. D'altra parte l'evoluzione sistemica rende ancora piu' illegittima l'invasione di competenza denunciata, giacche' la normativa statale pretende di inserire sostanzialmente una forma di controllo della Corte dei conti sul sistema autonomie locali e fa refluire in tale disegno anche gli atti della regione. Ebbene, a quanto gia' posto in evidenza con riferimento all'autonomia degli enti territoriali minori, si aggiunga la oggi meglio definita posizione delle regioni in conseguenza della riforma del Titolo V con la legge costituzionale 3/2001, alla stregua della quale i due soggetti pubblici - Stato e regione - nel rispetto delle diverse sfere di competenza attribuite, vanno considerati con posizione equiparata. Come e' stato sottolineato, e' l'impianto costituzionale ad essere mutato sol che si consideri la nuova formulazione dell'art. 114, il nuovo criterio di ripartizione materiale della potesta' legislativa, nonche' l'abrogazione del controllo preventivo del Governo sulla legge regionale e la modifica dell'art. 127 Cost. in tema di accesso alla giustizia costituzionale. D'altra parte, secondo l'insegnamento di codesta ecc.ma Corte (sent. 303/3), il nuovo sistema introdotto dalla riforma del Titolo V, Parte II, della Costituzione, impone di verificare di volta in volta, nei rapporti Stato regioni, l'esistenza o meno del parametro costituzionale e, dunque, del titolo legittimante l'intervento statale. Nell'ipotesi in esame esso e' del tutto assente ed anzi conduce a conclusione opposta. In questa direzione, infatti la previsione con legge dello Stato di adempimento attinenti al controllo sugli atti della regione, di cui ai commi 9 - 10 - 11 dell'art. 1 decreto-legge impugnato, si mostra del tutto coerente con il nuovo disegno costituzionale, in quanto l'atto statale avente forza di legge interviene in un settore nel quale non e' ammesso un tal tipo di disciplina e, perche', si ripristina, in qualche misura, una forma di' controllo non in linea con l'innovato impianto costituzionale. E cio' tenendo conto che, come e' noto, la legge cost. 3/2001 con l'art. 9 ha abrogato gli artt. 125, primo comma, e 130 che prevedevano controlli di legittimita' e di merito sugli atti degli enti regionali e subregionali. Comunque l'illegittimita' della previsione risiede anche nella circostanza che si determina una interferenza tra controllo di gestione e accertamenti della Corte dei conti idonea ad alterare la effettivita' e l'efficacia del controllo di gestione stesso. Sotto questo profilo, va eccepita la irragionevolezza perche' si contraddicono l'impianto e gli obiettivi del controllo di gestione, a tutto danno dell'autonomia. 3. - Violazione degli artt. 117 (in part. terzo e quarto comma) e 118 Cost. Violazione e falsa applicazione dell'art. 119 Cost. Lesione della sfera di autonomia delle regioni. Violazione del principio di leale cooperazione. Come ricordato in fatto, l'art. 3, comma 1, del d.l. 168/2004 convertito, modifica una normativa (art. 3 legge 24 dicembre 2003, n. 350) gia' impugnata dalla Regione Campania, ma ne conferma l'impostazione sostanziale e procedurale. Infatti, nell'introdurre una limitata deroga alle ipotesi di indebitamento ammissibili, ribadisce la preesistente, gia' contestata, struttura normativa, basata su una individuazione non oggettiva, ma discrezionale, unilaterale da parte dello Stato, di concetti costituzionali. A tal senso, anche la recente modifica soffre dei medesimi vizi dincostituzionalita' eccepiti nei confronti della normativa originaria. 3.a. - In primo luogo non spetta allo Stato riempire di contenuti parziali, mutevoli e discrezionali, senza'.alcun elemento che ne consenta di cogliere il criterio ispiratore, formule costituzionali che hanno una portata oggettiva e che costituiscono un limite, ma anche modo di realizzazione della effettiva autonomia finanziaria regionale. Al contrario i caratteri della disciplina legislativa statale posseggono una portata limitativa rispetto ai molteplici contenuti che possono rientrare nei concetti costituzionali di investimento e indebitamento. La deroga ai detti contenuti, introdotta dalla norma oggi impugnata, non solo non supera la eccepita illegittimita', ma sottolinea ulteriormente (proprio attraverso l'individuazione di una eccezione espressa, la rigorosita' dell'elencazione contenuta nel comma 18 e la non oggettivita' dei contenuti. Il complesso, pertanto, della normativa, cosi' come modificata e integrata dall'art. 3, comma 2, del decreto impugnato, risulta in evidente contrasto con l'art. 119 Cost., determinando gravi ricadute sul sistema economico delle regioni e sulla loro autonomia. 3.b.- L'intervento, inoltre, non inserendosi nella piu' organica disciplina del sistema finanziario regionale ai sensi del novellato art. 119 Cost., finisce per isolare un unico aspetto dello stesso, che viene cosi' a proporsi soltanto come un limite che, avulso dal piu' generale contesto nel quale soltanto ha una sua logica ragion d'essere, determina inevitabili conseguenze negative sui bilanci regionali. In assenza, infatti, di un reale regime di autofinanziamento che garantisca integralmente le funzioni, quale contemplato dalla norma costituzionale, non e' consentito incidere sul sistema con interventi che propongono soltanto limiti allo spazio di autonomia operativa delle regioni. Invero, la previsione, di cui al sesto comma, secondo la quale le regioni «... possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento», costituisce parte integrante di un nuovo testo che va per intero considerato nella sua portata perche' si tragga correttamente il senso della regola costituzionale. Conclusione che si impone anche perche' il novellato art. 119 Cost. non reca solo una mera modificazione parziale del testo precedente, ma registra una del tutto diversa impostazione dei rapporti fra Stato, regioni e enti locali nel campo finanziario. Come risulta anche dai lavori preparatori, si tratta della introduzione di nuovi principi finanziari. Innanzitutto, il principio che regioni ed enti locali si reggono con la finanza propria; vale a dire finanziando le proprie spese di funzionamento, di intervento e di amministrazione, con i mezzi prelevati dalla propria collettivita'. In secondo luogo il principio di «territorialita' dell'imposta» che determina che il gettito prelevato da un territorio, in base a determinate regole stabilite da legge nazionale, dovra' rimanere almeno in parte nel territorio di produzione. Non e' inutile ricordare che mentre il vecchio testo prevedeva l'attribuzione di tributi propri, il testo di riforma si riferisce a tributi e entrate proprie che vengono «stabiliti e applicati ... secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario». Ancora, anziche' di «quote di tributi erariali», il nuovo testo parla di «compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio». Inoltre si introduce ex novo un fondo perequativo senza vincoli di destinazione e lo si ancora esclusivamente alla capacita' fiscale per abitante; si prevedono risorse aggiuntive e interventi speciali dello Stato in favore di determinati enti territoriali per finalita' di ordine costituzionale o comunque ulteriori rispetto al normale esercizio delle funzioni, in luogo di contributi speciali assegnati a singole regioni per «provvedere a scopi determinati e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole». Insomma, si e' di fronte ad un impianto completamente diverso da quello precedente, che necessita, ovviamente, di una serie di interventi per la, sua concreta attuazione (lo stesso art. 119 rinvia ampiamente alla legislazione ordinaria). Si tratta (come si ricava anche dagli interventi Iª Commissione Permanente Affari Costituzionali del Senato relativi a «Indagine conoscitiva sugli effetti nell'ordinamento delle revisioni del Titolo V, Parte II, della Costituzione»), di una normativa complessa, costituita da competenze, responsabilita' e conseguenti limiti a questa funzionali. La fase attuativa, e' destinata a prolungarsi negli anni per arrivare a regime. In tal senso l'art. 119 riformulato e' stato definito come una «prospettiva evolutiva del sistema». In definitiva, l'attuazione del nuovo modello attraverso la legislazione ordinaria deve realizzarsi attraverso un intervento organico. Ditale esigenza occorre tenere sempre conto quando si valutano i profili attuativi per non incorrere in ingiustificabili rotture sia sul piano logico che giuridico, con conseguenze di grave impatto finanziario. Sotto questo aspetto, come e' noto, la Corte costituzionale, ha affermato che l'attuazione dell'art. 119 Cost. «richiede il preventivo intervento del legislatore statale che detti principi e regole di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, non potendosi ammettere in mancanza di cio', l'emanazione di discipline autonome delle singole regioni» (cfr. sent. n. 13/2004). In tal senso, nel momento in cui le regioni non possono attuare (in attesa di una disciplina statale) parte rilevante del nuovo modello finanziario delineato dall'art. 119 Cost. (e, quindi, trovare risorse in modo autonomo), e' illegittimo sottrarre alle stesse quei mezzi di gestione della spesa che, attualmente e medio tempore, possono consentire la governabilita' del sistema finanziario e di spesa regionale. Ne consegue che, come e' stato chiarito, «e' evidente come cio' richieda altresi' la definizione di una disciplina transitoria che consenta l'ordinato passaggio dall'attuale sistema, caratterizzato dalla permanenza di una finanza regionale e locale ancora in non piccola parte "derivata", cioe' dipendente dal bilancio statale, e da una disciplina statale unitaria di tutti i tributi, con limitate possibilita' riconosciute a regioni ed enti locali di effettuare autonome scelte, ad un nuovo sistema» (cfr. Corte cost., 26 gennaio 2004, n. 37). E nella complessiva giurisprudenza costituzionale emerge questo dato ricostruttivo: e' possibile giustificare anche interventi parziali nella materia finanziaria, sempre che essi non dipendano e siano condizionati dalla necessaria attuazione dell'intero art. 119. Ed e' proprio il caso di specie. Nel momento in cui il sesto comma dell'art. 119 Cost. e' chiaramente complementare all'assetto complessivo da tale articolo delineato per configurare l'autonomia politico-economica delle regioni e degli enti locali per le conseguenti scelte di organizzazione, e' quest'ultima ad essere compressa da una solo parziale attuazione. D'altro canto, l'art. 119, nel momento in cui prevede che «i comuni le province, le citta' metropolitane e le regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali e determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento», conferma il principio che ciascun territoriale deve assumersi la responsabilita' delle proprie scelte organizzative (di cui il piano finanziario costituisce uno degli aspetti piu' rilevanti) in relazione ai parametri costituzionali. In tal senso nella giurisprudenza della Corte costituzionale e' emerso, ed e' stato ribadito, che «nell'assetto delle competenze costituzionali configurato dal nuovo Titolo V, Parte II, della Costituzione, l'autofinanziamento delle funzioni attribuite alle regioni ed enti locali non costituisce altro se non un corollario della potesta' legislativa regionale esclusiva in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa, affinche' per tale via possa trovare compiuta realizzazione il principio piu' volte ribadito ... circa il parallelismo fra responsabilita' di disciplina della materia e responsabilita' finanziaria» (sent. Corte cost. 17/2004). 3.c. - Naturalmente l'intervento nel suo complesso, cosi' come attualmente modificato, e' in palese violazione anche dell'art. 117 Cost., in quanto la disciplina, seppure rientrasse nella materia «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario» (il che non e' possibile), non presenterebbe le caratteristiche di principi fondamentali alla cui fissazione si deve limitare la legge statale nelle ipotesi di competenza concorrente. 3.d. - Nell'intervento modificativo emerge anche un profilo di illegittimita' procedurale. La disciplina statale e' stata posta in essere escludendo qualsiasi partecipazione degli enti locali sia nell'attuale fase normativa di predisposizione della disciplina in generale, sia nelle fasi successive, confermando l'attribuzione al Ministro dell'Economia e delle Finanze del potere (unilaterale) di modificare le tipologie di cui al commi 17 e 18. Quanto sopra si pone in evidente contrasto con i principi (di rango costituzionale) di leale cooperazione in una materia in cui la Costituzione impone, per di piu', un coordinamento fra i sistemi finanziari, e lo Stato ha una competenza per la individuazione dei. principi, richiedendosi, nei passaggio da un modello ad un altro, una normativa che ne accompagni la transizione. Nel caso di specie, l'incisivo ed unilaterale intervento del legislatore statale, sicuramente parziale ed irragionevolmente limitativo, comprime direttamente la sfera di autonomia regionale. In assenza di una normativa di principio che consenta l'attuazione organica dell'art. 119 Cost. con la possibilita' per le regioni di reperire risorse che permettano di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite, il vulnus all'autonomia finanziaria e' di tutta evidenza. Sotto tale aspetto, il principio costituzionale di leale cooperazione e le esigenze di coordinamento avrebbero preteso quantomeno una compartecipazione degli enti interessati alla predisposizione (nonche' integrazione e modificazione) di un testo che avesse voluto assumere le caratteristiche di una normazione «di passaggio».