Ricorso  della  Regione Campania, in persona del presidente della
giunta  regionale  pro tempore,on. Antonio Bassolino, rappresentato e
difeso,  giusta  mandato  a  margine  ed in virtu' della delineazione
della  giunta  regionale n. 1775 del 24 settembre 2004 dal prof. avv.
Vincenzo   Cocozza   e   dall'avv.  Vincenzo  Baroni  dell'Avvocatura
regionale,  insieme  con  i  quali  elettivamente  domicilia in Roma,
presso  l'Ufficio  di  rappresentanza della Regione Campania alla via
Poli n. 29;

    Contro: il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore; per
la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  della legge 30
luglio  2004,  n. 191,  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale, serie
generale  n. 178 del 31 luglio 2004 (suppl. ord. 136), nella parte in
cui  converte  con  modifiche  l'art.  1,  commi  5  - 9 - 10 - 11, e
1'art. 3, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, e quindi
da11'art. 1,  commi  5  -  9  -  10 - 11, e dell'art. 3, comma 1, del
decreto-legge   medesimo,   convertito  e  come  modificato;  nonche'
dell'art.  3,  commi  16  -  17  -  18  - 19 - 20 - 21 della legge 24
dicembre  2003,  n 350 come modificati e integrati dall'art. 3, comma
1, del d.l. 12 luglio 2004, n. 168 come modificato e convertito dalla
legge 30 luglio 2004, n. 191.

                              F a t t o

    1.  - Con il d.l. 12 luglio 2004, n. 168 («Interventi urgenti per
il  contenimento  della  spesa  pubblica),  il  Governo  centrale  e'
intervenuto  a  porre  in  essere norme che si mostrano in piu' punti
lesive   della   autonomia  regionale  costituzionalmente  garantita,
incidendo anche sulla sfera di autonomia degli enti locali.
    Avverso l'art. 1, commi 5 - 9 - 10 - 11, e l'art. 3, comma 1, del
decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, la Regione Campania ha promosso
ricorso in via principale deducendo la lesione della propria sfera di
autonomia.
    In data 30 luglio 2004 e' stata approvata la legge di conversione
n. 191  del  citato  decreto-legge,  con  cui  sono  state  apportate
limitate  modifiche  a  singole  disposizioni,  ma sostanzialmente e'
stato confermato l'impianto complessivo dell'intervento legislativo e
il  contenuto  normativa  della  disciplina. Avendo riguardo al testo
legislativo  integrato  dalle  modifiche  apportate  dalla  legge  di
conversione,   si   evidenzia  che  lo  stesso  risulta  confermativo
dell'intervento   normativo  introdotto  dal  decreto-legge  sia  nei
principi ispiratori, sia, sostanzialmente, anche nel dato testuale.
    2.  -  Si tratta, in particolare, dell'art. 1, commi 5 - 9 - 10 e
11, nonche' dell'art. 3, comma 1.
        a) Il comma 5 dell'art. 1 introduce l'art. 198-bis al decreto
legislativo  18  agosto  2000,  n. 267  sull'ordinamento  degli  enti
locali,  prevedendo  che  «nell'ambito  dei  sistemi  di controllo di
gestione  di cui agli articoli 196, 197 e 198, la struttura operativa
alla  quale  e'  assegnata  la  funzione  del  controllo  di gestione
fornisce  la  conclusione  del  predetto  controllo,  oltre  che agli
amministratori  ed  ai  responsabili  dei  servizi ai sensi di quanto
previsto dall'art. 198, anche alla Corte dei conti».
    In  tal  modo  viene a determinarsi una attrazione della gestione
locale  nell'ambito della sfera del controllo affidato alla Corte dei
conti, costituzionalmente non consentita.
    Peraltro,   si  determina  una  illegittima  commissione  tra  il
controllo  di gestione e le valutazioni affidate alla Corte dei conti
che puo' alterare l'efficacia e le finalita' dello stesso controllo.
    Non  diversamente  il quinto periodo del comma 9, che il comma 11
rende  applicabile  alle  regioni  e  agli  enti  locali,  impone  di
comunicare  in  via  preventiva  alla  Corte  dei  conti le direttive
adottate  dalle amministrazioni per conformarsi alla regolamentazione
dello  stesso  comma  «nell'esercizio  dei diritti dell'azionista nei
confronti   delle   societa'  di  capitali  a  totale  partecipazione
pubblica».
    Il  comma  11, come modificato dalla legge di conversione, impone
alle  regioni  e  agli enti locali una spesa, generale annua nel 2004
«non  superiore  alla spesa annua mediamente sostenuta negli anni dal
2001  al 2003, ridotta del 10 per cento». Prosegue, poi, individuando
le  spese  da  ridurre,  prevedendo  espressamente che tali riduzioni
devono   obbligatoriamente   applicarsi   «alla  spesa  per  missioni
all'estero  e per il funzionamento di uffici all'estero, nonche' alle
spese di rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni ed alla spesa
per  studi  ed  incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei
all'amministrazione,    inclusi   quelli   ad   alto   contenuto   di
professionalita'  conferiti  ai  sensi  del comma 6 dell'art. 110 del
testo  unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al
decreto  legislativo  18  agosto  2000,  n. 267». Precisando poi, nel
periodo  aggiunto  dalla  legge  di  conversione,  che  per  le spese
impegnate  la  riduzione  del  10%  non  si  applica, ma solo «per le
regioni e gli enti locali che hanno rispettato, nell'anno 2003 e sino
al  30  giugno 2004, gli obiettivi previsti relativamente al patto di
stabilita' interno ...».
    La  disciplina,  attraverso  un  parziale rinvio ai commi 9 e 10,
detta regole particolari volte a restringere ulteriormente le ipotesi
del ricorso alle specifiche spese indicate.
    In  buona  sostanza,  e'  lo stesso decreto statale, nel disporre
significative  riduzioni  delle spese regionali e locali ammissibili,
ad   individuare  le  voci  di  spesa  oggetto  di  detta  riduzione,
relativamente  anche alle spese gia' impegnate se non ricadenti nella
limitata ipotesi derogaroria.
        c)  Il  comma  1  dell'art. 3 integra l'art. 3 della legge 24
dicembre  2003, n. 350, non modificato dalla legge di conversione, e'
stato  gia'  in parte impugnato dalla regione campania per violazione
dell'  art. 119 cost. e di quanto dalla norma costituzionale discende
quale  doverosa  modalita' attuativa che codesta ecc.ma corte ha gia'
puntualmente indicato.
    Sotto  tale aspetto, e' opportuno ricordare alcuni profili della,
questione,   rilevanti  per  cogliere  l'illegittimita'  anche  della
successiva modifica, che in questa sede si impugna.
    L'art. 3  della  legge  n. 350/2003 (Legge finanziaria 2004), nei
commi  16  -  17  -  18  -  19  - 20 - 21, con riferimento al 6 comma
dell'art. 119  della Costituzione, ha proceduto ad identificare - per
di  piu'  senza alcuna intesa o cooperazione con regioni sia le spese
costituenti  «investimenti»,  sia  l'«indebitamento» che in relazione
alle prime e' consentito.
    In  particolare,  per  cio'  che qui specificamente interessa, il
comma 18 ha proceduto ad una (unilaterale), elencazione delle ipotesi
di  investimento  «ai  fini» di cui all'art. 119, sesto comma, per le
quali e' consentita l'assunzione di debiti.
    Avverso  tale  normativa,  come  detto,  e'  gia' stata sollevata
questione di legittimita' costituzionale sia per i contenuti, che per
le modalita' con le quali essa e' stata posta in essere.
    La   questione,  tenendo  conto  di  quanto  prospettato  con  il
precedente  ricorso,  va  riproposta  sia  sotto il profilo del vizio
sostanziale  perche'  il decreto legge, pur derogando parzialmente al
limiti  posti  dal  comma  18  della  norma modificata, in definitiva
conferma l'impostazione limitativa del testo originario; sia sotto il
profilo  del  vizio  procedurale, laddove si interviene, anche questa
volta,  in  assenza  di  qualsiasi apporto regionale e confermando la
visione «unilaterale» delle modalita' di individuazione delle ipotesi
ammissibili di investimento.
    Le  disposizioni  impugnate  confermano  i  vizi  di legittimita'
emersi in sede di impugnativa del decreto-legge e inducono, pertanto,
alla proposizione del presente ricorso per i seguenti

                             M o t i v i

    La   normativa   legislativa  impugnata,  come  detto,  viola  la
Costituzione  con  diverse  disposizioni  normative  che impongono di
sollevare  le  seguenti  questioni di costituzionalita', soprattutto,
per  l'illegittima  riduzione  delle  spese ammissibili attraverso la
specifica  individuazione  delle voci di spesa da ridurre; per la non
consentita   incidenza   sul  sistema  dei  controlli  attraverso  la
previsione  di  un  ruolo  della  Corte  dei  conti nei confronti del
sistema  delle  autonomie  territoriali  che,  per di piu', altera il
controllo  di  gestione;  per  l'inammissibile  fissazione  di limiti
dell'indebitamento  delle  regioni  in  violazione  del  sesto  comma
dell'art. 119.
    Si deduce, pertanto:
    1.  -  Violazione  degli  artt.  114, 117 (in part. terzo comma e
quarto  comma)  e 118 Cost. violazione e falsa applicazione dell'art.
119  Cost.  lesione della sfera di autonomia delle regioni violazione
del   principio  di  leale  cooperazione.  Violazione  art.  3  Cost.
Irragionevolezza.
    Come ricordato in fatto, il combinato disposto dei commi 9 - 10 e
11 dell'art. 1 d.l. 168/2004, convertito con la legge oggi impugnata,
non  limitandosi ad individuare criteri direttivi o limiti massimi di
spesa,  specifica ed elenca le spese che gli enti territoriali devono
contenere nell'ambito di previste percentuali.
    L'illegittimita'  si manifesta, per questa parte, almeno sotto un
duplice profilo:
        a)  si limita la sfera di autonomia finanziaria di bilancio e
di spesa;
        b)  si  incide,  attraverso tale limitazione, sulle scelte di
organizzazione dell'ente.
    1.a.  -  Come  e' noto, il novellato art. 119 Cost. espressamente
sancisce  che  «comuni,  le  province,  le  citta' metropolitane e le
regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa».
    In  coerenza  con  tale  essenziale  connotazione dell'autonomia,
spetta  allo  Stato  esclusivamente  una  competenza  (concorrente, e
dunque  limitata  alla  fissazione  dei  principi  fondamentali della
materia)   in   tema   di  «armonizzazione  dei  bilanci  pubblici  e
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario».
    Ne  discende  che  appare  in  irrimediabile  contrasto  con tale
aspetto  essenziale dell'autonomia politica - l'autonomia contabile e
di   spesa,   tra   l'altro   espressamente   garantita   a   livello
costituzionale - la contestata ingerenza statale sulla formazione del
bilancio regionale e sulle scelte di spesa delle regioni e degli enti
locali.
    La  qui  dedotta violazione dell'art. 119 Cost. e del terzo comma
dell'art. 117 si mostra evidente perche' si puo' ritenere ammissibile
che   lo   Stato  ponga  in  essere  interventi  finalizzati  ad  una
regolamentazione  e  razionalizzazione  del  settore  finanziario  e,
probabilmente,  fra  tali  interventi  possono essere compresi quelli
volti  ad  individure un tetto massimo generale consentito al fine di
conseguire  un contenimento della spesa ed attuare gli impegni in tal
senso  assunti in sede comunitaria. Ma non certo si puo' sostenere, a
meno di vanificare, svuotandola di contenuti, l'autonomia finanziaria
costituzionalmente garantita, che lo Stato possa individuare anche le
puntuali  modalita'  di  contenimento  della  spesa e, ancor di piu',
incidere sulle specifiche voci.
    D'altra   parte,   se,  come  risulta  all'epigrafe  del  decreto
impugnato,  il  fine  e'  quello  di  limitare  la  spesa pubblica in
attuazione  degli obblighi comunitari, l'individuazione della singola
voce di spesa (piuttosto che la semplice fissazione delle percentuali
generali  di  risparmio) non si mostra necessaria e, dunque, coerente
con il fine dichiarato.
    L'illegittimita'  e',  poi,  e per le stesse ragioni, anche nella
parte  in  cui  si  pretende  di  estendere  tale  obbligo  in quanto
azionista   delle   societa'  di  capitali  a  totale  partecipazione
pubblica.
    1.a.  -  Quanto  sopra  ha ulteriori ricadute laddove, attraverso
limitazioni  di  carattere finanziario, si finisce per incidere anche
sul  modo  di  esplicarsi  della complessiva competenza relativa alle
scelte  in  tema  di  organizzazione amministrativa e sui conseguente
funzionamento dell'ente, sottraendo a quest'ultimo valutazioni di sua
esclusiva   spettanza,   in. quanto   affidate  alla  responsabilita'
politica,  gestionale ed economica dell'ente medesimo in relazione ai
fini da conseguire e ai modi per realizzarli.
    Si  consideri,  poi,  con  particolare riferimento alla posizione
della  regione, che cio' rifluisce in contrasto con il III e IV comma
dell'art. 117  Cost., perche' non si mostra dubitabile che la lesione
della  sfera  di autonomia si verifica non solo attraverso interventi
diretti  di  disciplina  del  settore di competenza, ma anche.(e, per
certi  versi,  soprattutto  da  un  punto  di  vista  piu' concreto e
sostanziale)  attraverso  la  sottrazione  o  limitazione  di risorse
finanziarie  che  costituiscono - al di la' di generiche affermazioni
di  principio  -  gli  strumenti essenziali per l'esercizio effettivo
della specifica protesta' costituzionalmente garantita.
    Tali illegittimita' si configurano anche in termini di violazione
del principio di leale cooperazione.
    Sarebbe  stato  quanto  meno  necessario., infatti, che lo Stato,
sotto  il profilo procedurale, avesse effettuato le scelte attraverso
una  intesa  con  le  regioni,  affinche' queste contribuissero a far
emergere,  in  base  alle differenti esigenze e problematiche locali,
tutto  quanto  utile  e  necessario per operare il contenimento della
spesa.  Esigenze  e  problematiche  che,  come  e'  intuitivo, non si
mostrano omogenee sull'intero territorio nazionale.
    2.  -  Violazione  degli  artt. 114, 117 (in part. terzo e quarto
comma)  e  118 Cost. Violazione dell'art. 9 della legge Cost. 3/2001.
Lesione  della  sfera  di  autonomia  delle  regioni.  Violazione del
principio  di  leale  cooperazione.  Violazione  dell'art.  100 Cost.
Violazione dell'art. 3 cost. Irragionevolezza.
    Il comma 5, dell'art. 1, nonche' i commi 9 - 10 - 11, del decreto
convertito,  introducono  una  disciplina  attinente  al  sistema  di
controllo  degli  atti  della regione e degli enti locali al di fuori
delle  attribuzioni  che  la  Costituzione  riconosce  allo  Stato in
materia.
    Come  e'  noto,  infatti, per quanto riguarda l'organizzazione di
comuni,  province  e  citta'  metropolitane, la competenza statale e'
riferita  alla legislazione elettorale, agli organi di governo e alle
funzioni  fondamentali degli enti locali. Il sistema dei controlli e'
estraneo  a  tale  sfera  di  competenza statale ed e' riservato alla
potesta'  legislativa, regionale ed a quella regolamentare degli enti
locali.
    D'altra   parte   l'evoluzione   sistemica   rende   ancora  piu'
illegittima   l'invasione   di  competenza  denunciata,  giacche'  la
normativa  statale  pretende di inserire sostanzialmente una forma di
controllo  della  Corte  dei  conti sul sistema autonomie locali e fa
refluire in tale disegno anche gli atti della regione.
    Ebbene,   a   quanto  gia'  posto  in  evidenza  con  riferimento
all'autonomia  degli  enti  territoriali  minori, si aggiunga la oggi
meglio  definita posizione delle regioni in conseguenza della riforma
del  Titolo  V con la legge costituzionale 3/2001, alla stregua della
quale  i due soggetti pubblici - Stato e regione - nel rispetto delle
diverse   sfere  di  competenza  attribuite,  vanno  considerati  con
posizione equiparata.
    Come  e'  stato  sottolineato,  e'  l'impianto  costituzionale ad
essere   mutato   sol   che   si   consideri  la  nuova  formulazione
dell'art. 114,  il  nuovo  criterio  di  ripartizione materiale della
potesta'  legislativa, nonche' l'abrogazione del controllo preventivo
del  Governo  sulla legge regionale e la modifica dell'art. 127 Cost.
in tema di accesso alla giustizia costituzionale.
    D'altra  parte,  secondo  l'insegnamento  di codesta ecc.ma Corte
(sent.  303/3),  il nuovo sistema introdotto dalla riforma del Titolo
V,  Parte  II,  della  Costituzione, impone di verificare di volta in
volta,  nei  rapporti Stato regioni, l'esistenza o meno del parametro
costituzionale   e,  dunque,  del  titolo  legittimante  l'intervento
statale.
    Nell'ipotesi in esame esso e' del tutto assente ed anzi conduce a
conclusione opposta.
    In  questa direzione, infatti la previsione con legge dello Stato
di  adempimento  attinenti  al controllo sugli atti della regione, di
cui  ai  commi  9  -  10 - 11 dell'art. 1 decreto-legge impugnato, si
mostra  del  tutto  coerente  con il nuovo disegno costituzionale, in
quanto  l'atto statale avente forza di legge interviene in un settore
nel  quale  non  e'  ammesso un tal tipo di disciplina e, perche', si
ripristina,  in  qualche misura, una forma di' controllo non in linea
con  l'innovato  impianto  costituzionale.  E cio' tenendo conto che,
come  e'  noto,  la  legge  cost. 3/2001 con l'art. 9 ha abrogato gli
artt. 125,   primo   comma,   e  130  che  prevedevano  controlli  di
legittimita'   e   di  merito  sugli  atti  degli  enti  regionali  e
subregionali.
    Comunque  l'illegittimita'  della  previsione risiede anche nella
circostanza  che  si  determina  una  interferenza  tra  controllo di
gestione  e  accertamenti della Corte dei conti idonea ad alterare la
effettivita' e l'efficacia del controllo di gestione stesso.
    Sotto  questo profilo, va eccepita la irragionevolezza perche' si
contraddicono l'impianto e gli obiettivi del controllo di gestione, a
tutto danno dell'autonomia.
    3. - Violazione degli artt. 117 (in part. terzo e quarto comma) e
118 Cost. Violazione e falsa applicazione dell'art. 119 Cost. Lesione
della  sfera  di autonomia delle regioni. Violazione del principio di
leale cooperazione.
    Come  ricordato  in  fatto,  l'art. 3, comma 1, del d.l. 168/2004
convertito,  modifica  una  normativa (art. 3 legge 24 dicembre 2003,
n. 350)  gia'  impugnata  dalla  Regione  Campania,  ma  ne  conferma
l'impostazione sostanziale e procedurale.
    Infatti,  nell'introdurre  una  limitata  deroga  alle ipotesi di
indebitamento    ammissibili,   ribadisce   la   preesistente,   gia'
contestata,  struttura  normativa,  basata  su una individuazione non
oggettiva,  ma  discrezionale,  unilaterale  da parte dello Stato, di
concetti costituzionali.
    A  tal  senso, anche la recente modifica soffre dei medesimi vizi
dincostituzionalita'   eccepiti   nei   confronti   della   normativa
originaria.
    3.a. - In primo luogo non spetta allo Stato riempire di contenuti
parziali,  mutevoli  e  discrezionali,  senza'.alcun  elemento che ne
consenta  di  cogliere il criterio ispiratore, formule costituzionali
che  hanno  una  portata  oggettiva e che costituiscono un limite, ma
anche  modo  di  realizzazione  della effettiva autonomia finanziaria
regionale.
    Al  contrario  i  caratteri  della disciplina legislativa statale
posseggono  una  portata  limitativa rispetto ai molteplici contenuti
che  possono  rientrare nei concetti costituzionali di investimento e
indebitamento.
    La  deroga  ai  detti  contenuti,  introdotta  dalla  norma  oggi
impugnata,  non  solo  non  supera  la  eccepita  illegittimita',  ma
sottolinea  ulteriormente (proprio attraverso l'individuazione di una
eccezione  espressa,  la  rigorosita'  dell'elencazione contenuta nel
comma 18 e la non oggettivita' dei contenuti.
    Il  complesso, pertanto, della normativa, cosi' come modificata e
integrata  dall'art. 3,  comma  2,  del decreto impugnato, risulta in
evidente  contrasto con l'art. 119 Cost., determinando gravi ricadute
sul sistema economico delle regioni e sulla loro autonomia.
    3.b.-  L'intervento, inoltre, non inserendosi nella piu' organica
disciplina  del  sistema finanziario regionale ai sensi del novellato
art. 119  Cost.,  finisce  per isolare un unico aspetto dello stesso,
che  viene  cosi'  a proporsi soltanto come un limite che, avulso dal
piu'  generale  contesto  nel quale soltanto ha una sua logica ragion
d'essere,  determina  inevitabili  conseguenze  negative  sui bilanci
regionali.
    In  assenza, infatti, di un reale regime di autofinanziamento che
garantisca  integralmente  le funzioni, quale contemplato dalla norma
costituzionale, non e' consentito incidere sul sistema con interventi
che  propongono  soltanto  limiti  allo spazio di autonomia operativa
delle regioni.
    Invero, la previsione, di cui al sesto comma, secondo la quale le
regioni  «... possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare
spese  di  investimento»,  costituisce  parte  integrante di un nuovo
testo  che  va  per  intero  considerato nella sua portata perche' si
tragga   correttamente   il   senso   della   regola  costituzionale.
Conclusione  che  si impone anche perche' il novellato art. 119 Cost.
non  reca  solo una mera modificazione parziale del testo precedente,
ma  registra  una  del  tutto  diversa  impostazione dei rapporti fra
Stato, regioni e enti locali nel campo finanziario.
    Come  risulta  anche  dai  lavori  preparatori,  si  tratta della
introduzione di nuovi principi finanziari.
    Innanzitutto,  il principio che regioni ed enti locali si reggono
con  la  finanza propria; vale a dire finanziando le proprie spese di
funzionamento,  di  intervento  e  di  amministrazione,  con  i mezzi
prelevati dalla propria collettivita'.
    In  secondo  luogo il principio di «territorialita' dell'imposta»
che  determina  che  il gettito prelevato da un territorio, in base a
determinate  regole  stabilite  da  legge  nazionale, dovra' rimanere
almeno in parte nel territorio di produzione.
    Non  e'  inutile  ricordare che mentre il vecchio testo prevedeva
l'attribuzione  di tributi propri, il testo di riforma si riferisce a
tributi  e  entrate  proprie  che  vengono «stabiliti e applicati ...
secondo  i  principi  di  coordinamento  della finanza pubblica e del
sistema tributario».
    Ancora,  anziche'  di «quote di tributi erariali», il nuovo testo
parla di «compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibili
al loro territorio».
    Inoltre  si  introduce ex novo un fondo perequativo senza vincoli
di  destinazione e lo si ancora esclusivamente alla capacita' fiscale
per  abitante;  si prevedono risorse aggiuntive e interventi speciali
dello  Stato in favore di determinati enti territoriali per finalita'
di  ordine  costituzionale  o  comunque ulteriori rispetto al normale
esercizio delle funzioni, in luogo di contributi speciali assegnati a
singole regioni per «provvedere a scopi determinati e particolarmente
per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole».
    Insomma,  si e' di fronte ad un impianto completamente diverso da
quello  precedente,  che  necessita,  ovviamente,  di  una  serie  di
interventi per la, sua concreta attuazione (lo stesso art. 119 rinvia
ampiamente alla legislazione ordinaria).
    Si  tratta  (come si ricava anche dagli interventi Iª Commissione
Permanente  Affari  Costituzionali  del  Senato  relativi a «Indagine
conoscitiva sugli effetti nell'ordinamento delle revisioni del Titolo
V,  Parte  II,  della  Costituzione»),  di  una  normativa complessa,
costituita  da  competenze,  responsabilita'  e  conseguenti limiti a
questa  funzionali.  La  fase  attuativa,  e' destinata a prolungarsi
negli anni per arrivare a regime. In tal senso l'art. 119 riformulato
e' stato definito come una «prospettiva evolutiva del sistema».
    In  definitiva,  l'attuazione  del  nuovo  modello  attraverso la
legislazione  ordinaria  deve  realizzarsi  attraverso  un intervento
organico.  Ditale  esigenza  occorre  tenere  sempre  conto quando si
valutano  i  profili  attuativi per non incorrere in ingiustificabili
rotture  sia sul piano logico che giuridico, con conseguenze di grave
impatto finanziario.
    Sotto  questo  aspetto, come e' noto, la Corte costituzionale, ha
affermato   che   l'attuazione   dell'art. 119   Cost.  «richiede  il
preventivo  intervento  del  legislatore statale che detti principi e
regole   di  coordinamento  della  finanza  pubblica  e  del  sistema
tributario, non potendosi ammettere in mancanza di cio', l'emanazione
di   discipline   autonome   delle   singole   regioni»  (cfr.  sent.
n. 13/2004).
    In  tal  senso, nel momento in cui le regioni non possono attuare
(in  attesa  di  una  disciplina  statale)  parte rilevante del nuovo
modello finanziario delineato dall'art. 119 Cost. (e, quindi, trovare
risorse  in modo autonomo), e' illegittimo sottrarre alle stesse quei
mezzi  di  gestione  della  spesa  che,  attualmente e medio tempore,
possono  consentire  la  governabilita'  del sistema finanziario e di
spesa regionale.
    Ne  consegue  che, come e' stato chiarito, «e' evidente come cio'
richieda  altresi'  la  definizione di una disciplina transitoria che
consenta  l'ordinato  passaggio  dall'attuale sistema, caratterizzato
dalla  permanenza  di  una  finanza  regionale e locale ancora in non
piccola parte "derivata", cioe' dipendente dal bilancio statale, e da
una  disciplina  statale  unitaria  di  tutti i tributi, con limitate
possibilita'  riconosciute  a  regioni  ed  enti locali di effettuare
autonome  scelte,  ad un nuovo sistema» (cfr. Corte cost., 26 gennaio
2004, n. 37).
    E  nella  complessiva giurisprudenza costituzionale emerge questo
dato   ricostruttivo:  e'  possibile  giustificare  anche  interventi
parziali  nella  materia finanziaria, sempre che essi non dipendano e
siano condizionati dalla necessaria attuazione dell'intero art. 119.
    Ed e' proprio il caso di specie.
    Nel  momento  in  cui  il  sesto  comma  dell'art. 119  Cost.  e'
chiaramente  complementare  all'assetto  complessivo da tale articolo
delineato   per   configurare  l'autonomia  politico-economica  delle
regioni   e   degli   enti   locali  per  le  conseguenti  scelte  di
organizzazione,  e'  quest'ultima  ad  essere  compressa  da una solo
parziale attuazione.
    D'altro  canto,  l'art. 119,  nel  momento  in cui prevede che «i
comuni  le  province,  le  citta' metropolitane e le regioni hanno un
proprio   patrimonio,   attribuito  secondo  i  principi  generali  e
determinati    dalla    legge    dello   Stato.   Possono   ricorrere
all'indebitamento   solo   per  finanziare  spese  di  investimento»,
conferma  il  principio  che  ciascun  territoriale deve assumersi la
responsabilita'  delle  proprie scelte organizzative (di cui il piano
finanziario   costituisce   uno  degli  aspetti  piu'  rilevanti)  in
relazione ai parametri costituzionali.
    In  tal  senso nella giurisprudenza della Corte costituzionale e'
emerso,  ed  e'  stato  ribadito,  che «nell'assetto delle competenze
costituzionali  configurato  dal  nuovo  Titolo  V,  Parte  II, della
Costituzione,  l'autofinanziamento  delle  funzioni  attribuite  alle
regioni  ed  enti  locali  non costituisce altro se non un corollario
della   potesta'   legislativa  regionale  esclusiva  in  materia  di
ordinamento  e  organizzazione amministrativa, affinche' per tale via
possa trovare compiuta realizzazione il principio piu' volte ribadito
...  circa  il  parallelismo  fra responsabilita' di disciplina della
materia e responsabilita' finanziaria» (sent. Corte cost. 17/2004).
    3.c.  -  Naturalmente  l'intervento nel suo complesso, cosi' come
attualmente  modificato,  e' in palese violazione anche dell'art. 117
Cost.,  in  quanto  la  disciplina,  seppure rientrasse nella materia
«armonizzazione  dei  bilanci  pubblici e coordinamento della finanza
pubblica  e  del  sistema  tributario» (il che non e' possibile), non
presenterebbe  le  caratteristiche  di principi fondamentali alla cui
fissazione  si  deve  limitare  la  legge  statale  nelle  ipotesi di
competenza concorrente.
    3.d.  -  Nell'intervento  modificativo emerge anche un profilo di
illegittimita' procedurale.
    La  disciplina  statale  e'  stata  posta  in  essere  escludendo
qualsiasi  partecipazione  degli  enti  locali  sia nell'attuale fase
normativa  di predisposizione della disciplina in generale, sia nelle
fasi successive, confermando l'attribuzione al Ministro dell'Economia
e  delle  Finanze del potere (unilaterale) di modificare le tipologie
di cui al commi 17 e 18.
    Quanto  sopra  si  pone  in evidente contrasto con i principi (di
rango  costituzionale) di leale cooperazione in una materia in cui la
Costituzione  impone,  per  di  piu',  un coordinamento fra i sistemi
finanziari,  e  lo Stato ha una competenza per la individuazione dei.
principi, richiedendosi, nei passaggio da un modello ad un altro, una
normativa che ne accompagni la transizione.
    Nel  caso  di  specie,  l'incisivo  ed unilaterale intervento del
legislatore   statale,   sicuramente  parziale  ed  irragionevolmente
limitativo, comprime direttamente la sfera di autonomia regionale. In
assenza  di  una  normativa  di  principio  che consenta l'attuazione
organica  dell'art. 119  Cost.  con la possibilita' per le regioni di
reperire  risorse  che  permettano  di  finanziare  integralmente  le
funzioni   pubbliche   loro   attribuite,   il  vulnus  all'autonomia
finanziaria e' di tutta evidenza.
    Sotto   tale   aspetto,  il  principio  costituzionale  di  leale
cooperazione   e  le  esigenze  di  coordinamento  avrebbero  preteso
quantomeno   una   compartecipazione   degli  enti  interessati  alla
predisposizione  (nonche'  integrazione  e modificazione) di un testo
che  avesse  voluto assumere le caratteristiche di una normazione «di
passaggio».